lunedì 28 maggio 2007

Liberato Titti Pinna

Finalmente è finito un incubo, Titti è libero. Dopo oltre 8 mesi rientra a casa, ai suoi affetti e al suo lavoro. Bonorva si libera da una cappa pesante che ha creato un clima difficile. Adesso possiamo festeggiare perchè da oggi siamo tutti più liberi.

sabato 26 maggio 2007

Politica e consenso

E’ scoppiata la polemica sulla politica, sui politici, sui partiti, sulle istituzioni. Un libro di due famosi giornalisti , intitolato “La casta”, è ai primi posti nelle vendite. Massimo D’Alema, in una intervista al Corriere della sera, ha lanciato un grido di allarme avvertendo l’urgenza di una profonda riforma e di un grande cambiamento per rendere più trasparente e più funzionante il sistema politico. Il presidente di Confindustria, Montezemolo, ha lanciato una pesante requisitoria contro il sistema pubblico e contro i partiti facendosi portavoce di una insofferenza diffusa tra la gente. Il Presidente della Regione, Renato Soru, ha annunciato iniziative per eliminare molti privilegi di cui godono i nostri consiglieri regionali. A Bonorva, ormai da molti mesi, si avverte un clima diffuso di ostilità contro l’amministrazione che ha vinto le elezioni comunali appena un anno fà.

Cosa significa tutto questo? Siamo di fronte all’inizio di una fase che può portare a un terremoto, come accadde nel 1992, e ad una profonda modificazione dell’attuale sistema politico?

Affronto subito il nostro problema locale per dire che l’attuale situazione bonorvese non rappresenta alcuna novità rispetto alla nostra lunga e consolidata tradizione: a Bonorva non c’è mai stato un sindaco che abbia governato per due mandati consecutivi. Questo non solo negli ultimi anni ma in tutta la storia del nostro paese. Tutti coloro che hanno amministrato il nostro comune dal giorno successivo alla elezione sono sempre stati oggetto di critiche e contestazioni durissime, salvo poi dire a mandato concluso – e anche questa è una costante – che erano meglio di chi è venuto dopo di loro. Anche nelle discussioni sul blog “Bonorva mai remediu” è emerso questo aspetto quando si è parlato di un sindaco degli anni 70 dando giudizi, appunto postumi, che non corrispondono a quelli che esprimevano i cittadini durante l’attività di governo. Ma questo è successo, appunto, per tutte le nostre amministrazioni.

Questo significa che non bisogna tener conto delle opinioni e dei giudizi della opinione pubblica? Assolutamente no. Ma chi si occupa di questioni politiche ha il dovere di leggere e di capire i meccanismi che portano alla formazione di una opinione diffusa tra la gente e ha il dovere di costruire risposte istituzionali che diano ai cittadini elementi e strumenti di valutazione dell’attività di chi ci amministra.

Il secondo elemento, che ci porta alla discussione ormai diffusa a livello nazionale, riguarda i cambiamenti radicali che devono essere introdotti nel nostro sistema politico e nella nostra pubblica amministrazione: semplificazione di tutti i procedimenti amministrativi e affermazione di una carta dei “diritti dei cittadini”. La pubblica amministrazione deve essere organizzata non per rispondere alle esigenze di chi governa o di chi lavora nel pubblico impiego ma deve essere pensata e organizzata per dare risposte ai problemi del cittadino. E questo cittadino deve essere informato di tutti i suoi diritti e di tutte le opportunità. Così come deve poter accedere, senza passaggi e difficoltà burocratiche, a tutte le informazioni che riguardano l’attività svolta da chi è stato votato ed eletto per governare, ai diversi livelli, e per rappresentarlo nelle istituzioni.

Terzo ed ultimo elemento: una democrazia moderna e avanzata deve consentire a tutti i cittadini, indipendentemente dalle personali risorse finanziarie, di poter esercitare un ruolo di governo se a questo viene chiamato dal libero voto degli elettori. L’esercizio di questo diritto, che garantisce l’eguaglianza di tutti i cittadini, ha dei costi per la collettività. Quelli che, impropriamente, sono chiamati costi della politica sono spesso i costi necessari delle democrazie. Oggi (e per la verità ormai da troppi anni) la salvaguardia di questo diritto fondamentale ha però prodotto un sistema di abusi e di storture basato su privilegi, sprechi e inefficienze a favore di una “casta” sempre più diffusa e fuori da ogni controllo.

Io non credo alla possibilità di una “sollevazione popolare” contro questo sistema. O meglio, non ci credo in questa fase e in questa situazione. Questo sistema è talmente diffuso e radicato che coinvolge la gran parte del nostro paese. Montezemolo, capo degli industriali, ha volutamente evitato di dire quante industrie italiane sono ancora in funzione solamente grazie alle generose elargizioni pubbliche. Basterebbe, per tutte, citare il caso della Fiat. Così come ha evitato di dire che questo sistema è stato per lunghi anni non solo sostenuto ma largamente finanziato, in nero, dai grandi gruppi industriali e finanziari. Così come è vero che le nostre rappresentanze politiche, da Roma sino a Bonorva, sono lo specchio e l’espressione del paese.

Allora, forse, serve solo una piccolissima rivoluzione, un piccolissimo cambiamento che spetta ad ognuno di noi: chi governa inizi a pensare al bene collettivo e non al proprio tornaconto, chi vota non pensi ai favori personali che può ricevere dal potente di turno ma scelga pensando a quello che serve alla collettività. Infine, nelle istituzioni si introduca il principio della trasparenza e si rendano realmente pubblici tutti gli atti, si taglino privilegi e sprechi in un sistema che dovrà essere basato sulla responsabilità personale dei politici e dei funzionari pubblici che siano, finalmente, al servizio dei cittadini.

giovedì 10 maggio 2007

La crisi economica bonorvese

Il nostro paese vive una gravissima crisi economica da tantissimi anni. L’emigrazione, che pure ha radici lontane già dall’inizio del secolo scorso con le partenze verso il sudamerica, ha svuotato il paese a partire da metà degli anni 50 e per tutti gli anni 60.


Dal 1970 è proseguita lenta ma inarrestabile. Dal 1951 non si registra un solo anno che abbia chiuso con il saldo demografico positivo. La nostra economia fondamentalmente agricola si è trasformata ed ormai da diversi decenni è basata, principalmente, sull’allevamento brado degli ovini. Il secondo settore più importante dell’economia bonorvese è rappresentato dall’industria …… delle pensioni.


Le aziende agropastorali vivono in Sardegna, e quindi anche a Bonorva, una situazione di difficoltà e di crisi pesantissima. Il nostro latte viene trasformato, per la gran parte, in pecorino romano che ha il suo mercato tradizionale negli Stati Uniti. Sino a quando l’Unione Europea ha autorizzato l’integrazione del prezzo con sostanziosi contributi pubblici il nostro prodotto è riuscito a reggere la concorrenza. Oggi, con l’abolizione dei contributi che consentivano di praticare prezzi concorrenziali, siamo fuori mercato e non reggiamo il confronto con i formaggi argentini e sudamericani che hanno invaso il mercato statunitense.


Anche gli agnelli hanno un prezzo di mercato non remunerativo per i produttori. Qui ci troviamo spesso di fronte ad una forbice troppo ampia tra il prezzo a cui viene venduto l’agnello dai nostri allevatori ed il prezzo che viene praticato nelle rivendite delle città italiane ed europee. Per intenderci: la gran parte del valore aggiunto non rimane in Sardegna ed esso arricchisce mediatori e grandi organizzazioni commerciali.
Se la nostra industria agropastorale dovesse fallire, o solo ridimensionarsi, l’economia bonorvese sarebbe letteralmente in ginocchio e dovrebbe “campare” quasi esclusivamente dalle pensioni.
Io penso che si dovrebbe partire proprio da questo punto: trovare i modi per sostenere, trasformare e sviluppare l’economia delle nostre campagne.


Credo che questa possa essere una, anche se non la sola, delle strade da percorrere per uscire da questa crisi lunghissima e permanente.


Il nostro è un paese stanco e sfiduciato.


Negli anni 50 l’abbandono delle terre da parte dei nostri contadini ha dato il primo colpo alla nostra economia.


Se adesso dovesse esserci una nuova ondata di abbandono delle campagne da parte degli allevatori per noi sarebbe il colpo di grazia.


Per impedirlo dobbiamo fare qualcosa di straordinario tutti insieme.


Non è un problema che riguarda solo una categoria di lavoratori. Questo problema riguarda tutto il paese perché riguarda la sopravvivenza ed il futuro della stessa Bonorva.

martedì 1 maggio 2007

1° Maggio

1° Maggio: Festa dei Lavoratori

Il tradizionale concerto del 1° Maggio, che si tiene a Roma, è dedicato quest'anno ai 50 anni del rock'n'roll.

Il 1° Maggio è festeggiato in tutto il mondo, ma quanti conoscono la storia e il significato di questa festa?
La storia del 1° Maggio
(dal sito della CGIL Lombardia)


Il 1° Maggio nasce come momento di lotta internazionale di tutti i lavoratori, senza barriere geografiche, né tanto meno sociali, per affermare i propri diritti, per raggiungere obiettivi, per migliorare la propria condizione. "Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire" fu la parola d'ordine, coniata in Australia nel 1855, e condivisa da gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento. Si aprì così la strada a rivendicazioni generali e alla ricerca di un giorno, il primo Maggio, appunto, in cui tutti i lavoratori potessero incontrarsi per esercitare una forma di lotta e per affermare la propria autonomia e indipendenza. La storia del primo Maggio rappresenta, oggi, il segno delle trasformazioni che hanno caratterizzato i flussi politici e sociali all'interno del movimento operaio dalla fine del secolo scorso in poi.
Dal congresso dell'Associazione internazionale dei lavoratori - la Prima Internazionale - riunito a Ginevra nel settembre 1866, scaturì una proposta concreta: "otto ore come limite legale dell'attività lavorativa". A sviluppare un grande movimento di lotta sulla questione delle otto ore furono soprattutto le organizzazioni dei lavoratori statunitensi. Lo Stato dell'Illinois, nel 1866, approvò una legge che introduceva la giornata lavorativa di otto ore, ma con limitazioni tali da impedirne l'estesa ed effettiva applicazione. L'entrata in vigore della legge era stata fissata per il 1° Maggio 1867 e per quel giorno venne organizzata a Chicago una grande manifestazione. Diecimila lavoratori diedero vita al più grande corteo mai visto per le strade della città americana.
Nell'ottobre del 1884 la Federation of Organized Trades and Labour Unions indicò nel 1° Maggio 1886 la data limite, a partire dalla quale gli operai americani si sarebbero rifiutati di lavorare più di otto ore al giorno.

Il 1° Maggio 1886 cadeva di sabato, allora giornata lavorativa, ma in dodicimila fabbriche degli Stati Uniti 400 mila lavoratori incrociarono le braccia. Nella sola Chicago scioperarono e parteciparono al grande corteo in 80 mila. Tutto si svolse pacificamente, ma nei giorni successivi scioperi e manifestazioni proseguirono e nelle principali città industriali americane la tensione si fece sempre più acuta. Il lunedì la polizia fece fuoco contro i dimostranti radunati davanti ad una fabbrica per protestare contro i licenziamenti, provocando quattro morti. Per protesta fu indetta una manifestazione per il giorno dopo, durante la quale, mentre la polizia si avvicinava al palco degli oratori per interrompere il comizio, fu lanciata una bomba. I poliziotti aprirono il fuoco sulla folla. Alla fine si contarono otto morti e numerosi feriti. Il giorno dopo a Milwaukee la polizia sparò contro i manifestanti (operai polacchi) provocando nove vittime. Una feroce ondata repressiva si abbatté contro le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori, le cui sedi furono devastate e chiuse e i cui dirigenti vennero arrestati. Per i fatti di Chicago furono condannati a morte otto noti esponenti anarchici malgrado non ci fossero prove della loro partecipazione all'attentato. Due di loro ebbero la pena commutata in ergastolo, uno venne trovato morto in cella, altri quattro furono impiccati in carcere l'11 novembre 1887. Il ricordo dei "martiri di Chicago" era diventato simbolo di lotta per le otto ore e riviveva nella giornata ad essa dedicata: il 1° Maggio.
Il 20 luglio 1889 il congresso costitutivo della Seconda Internazionale Socialista, riunito a Parigi, decise che "una grande manifestazione sarebbe stata organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente i tutti i paesi e in tutte le città, i lavoratori avrebbero chiesto alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore".
La scelta cadde sul primo Maggio dell'anno successivo, appunto per il valore simbolico che quella giornata aveva assunto.


In Italia come negli altri Paesi il grande successo del 1 Maggio, concepita come manifestazione straordinaria e unica, indusse le organizzazioni operaie e socialiste a rinnovare l'evento anche per il 1891. Nell'agosto del 1891 il II congresso dell'Internazionale Socialista, riunito a Bruxelles, assunse la decisione di rendere permanente la ricorrenza. D'ora in avanti il 1° Maggio sarebbe stato la "festa dei lavoratori di tutti i paesi, nella quale i lavoratori dovevano manifestare la comunanza delle loro rivendicazioni e della loro solidarietà".
Nel nostro Paese il fascismo decise la soppressione del 1° Maggio, che durante il ventennio fu fatto coincidere con la celebrazione del 21 aprile, il cosiddetto Natale di Roma. Mentre la festa del lavoro assume una connotazione quanto mai "sovversiva", divenendo occasione per esprimere in forme diverse (dal garofano rosso all'occhiello, alle scritte sui muri, dalla diffusione di volantini alla riunione in osteria) l'opposizione al regime. Il 1° Maggio tornò a celebrarsi nel 1945, sei giorni dopo la liberazione dell'Italia.

Le profonde trasformazioni sociali e il mutamento delle abitudini hanno cambiato il significato di una ricorrenza che aveva sempre esaltato la distinzione della classe operaia.
Il modo di celebrare il 1° maggio è quindi cambiato nel corso degli anni.
Da diversi anni Cgil, Cisl, Uil hanno scelto di celebrare la giornata del 1° Maggio promovendo una manifestazione nazionale dedicata ad uno specifico tema. E' diventato un appuntamento anche il tradizionale concerto rock che i sindacati confederali organizzano in piazza San Giovanni a Roma.

lunedì 23 aprile 2007

Sondaggio Partito Democratico

DS e Margherita hanno deciso di dar vita al nuovo Partito Democratico.
Cosa pensate che possa succedere nel sistema politico italiano?
Servirà veramente questo nuovo partito, che vuole mettere insieme tutti i riformisti, a rendere più semplice e funzionante il sistema dei partiti così frammentato in Italia?
Hanno espresso la propria opinione in oltre 350.
Il risultato, con oltre il 60% che ritiene utile per il sistema politico la nascita del Partito Democratico, esprime solo l'opinione dei visitatori del blog e non l'opinione di un campione attendibile ai fini statistici.